Silvio De Rossi ha scritto qualche giorno fa un post editoriale molto carino su Stylology sulle cose che odia su Instagram Stories, che vi consiglio di andare a leggere, è nello stile dell’autore, fa sorridere pur essendo dotato di senso e di un contenuto sostanzioso. Io però, Silvio non me ne vorrà, voglio rispondergli, con le cose che amo di Instagram Stories.
È necessario però che io faccia una premessa: non sono un grande utente di Instagram Stories. In realtà lo sono, ma non sono un produttore attivo di contenuti. Avete presente la storia del 20 percento di utenti che producono contenuti attivamente e l’altro 80 percento che guarda e produce ogni tanto (Long Tail)? Io sono – per le Instagram Stories – tra quelli che guardano. Praticamente ogni volta che apro Instagram curioso nella sezione in alto quello che pubblicano le persone che seguo.
Perché odiare le Instagram Stories
Potreste chiedervi perché dover amare le Instagram Stories, e l’ho fatto anche io oltre a Silvio De Rossi. A più riprese ne ho discusso con colleghi e amici nell’ambito delle lezioni universitarie del master che frequento, in cui spesso si parla di social media e di Snapchat (a cui io preferisco le Instagram Stories, ma questo è un aspetto che va analizzato da solo). Una delle critiche che vengono fatte ai post temporanei è proprio la loro inconsistenza, ovvero che dopo 24 ore spariscono, perciò sotto un certo punto di vista non hanno senso di esistere se già quando sono creati sono destinati a sparire. Potrebbero essere identificati come un contenuto inutile. Considerazioni accettabili, ma che personalmente non condivido.
Silvio, nel suo post, espone – in maniera veramente simpatica e qui rinnovo il mio invito a leggere il suo post linkato nella prima riga di questo articolo – quelle che sono le tipologie di contenuti che non sopporta, che gli fanno storcere il naso. Insomma, quello che odia. Da chi si inquadra i piedi mentre cammina senza dire dove va, a chi inquadra cosa mangia senza far capire cosa effettivamente stia mangiando, sino alle immancabili bocche a culo di gallina (scusate il termine).
Perché mi piacciono le Instagram Stories
Ora tocca a me rispondere, e lo farò però con motivazioni più sociali e meno concrete. Fondamentalmente, sino a quando non è arrivato Snapchat, e quindi non è diventato popolare il concetto di contenuto a tempo, sui social i post sono stati fissi. C’è stata la possibilità di rimuoverli, ma non di inserirli appositamente perché sparissero dopo un certo tempo. Ecco, con Snapchat nel pubblico è nata l’idea di un tipo di contenuto nuovo, non troppo studiato né elaborato, e il concetto si è poi trasferito su Instagram che, a mio avviso, ne ha amplificato enormemente la potenza.
Così le Instagram Stories sono arrivate come un tipo di post immediato, che apre le porte a diversi tipi di narrazioni. Nella mia concezione ideale, i post di Instagram dovrebbero avere un senso, essere pubblicati con un minimo di logica, di coerenza, e anche se così non è per molti casi (dal momento che anche sul normale Instagram si vedono un sacco delle categorie odiate da Silvio) questo è il presupposto da cui nasce il mio ragionamento. Instagram non è da usare a cazzo caso, ma per essere performante al massimo – esclusi i gattini – deve seguire una linea logica nelle pubblicazioni.
E qui arrivano le Instagram Stories. L’esempio è autobiografico: da mesi pubblico con una certa logica, che può poi piacere o meno, ma comunque va a gruppi di tre foto di una certa tipologia (a proposito, hai letto del mio progetto @treocchi?) a creare un qualche senso nella visualizzazione complessiva della galleria. Come me, migliaia di altri utenti pubblicano foto che vadano oltre la colazione, i gattini, il pigiama, ecc. Insomma sono in tanti ad utilizzare Instagram professionalmente, pubblicando foto non per il valore affettivo ma per quello artistico in ottica di un pubblico che vada a mettere like.
Quello che c’è dietro i contenuti permanenti
Per tutti questi utenti, le Instagram Stories sono molto utili, perché danno modo di raccontare tutto quello che può essere identificato come il backstage del profilo con grande immediatezza, senza troppi filtri né attenzione ai dettagli (almeno in apparenza), in modo da fidelizzare con il proprio pubblico, mostrare loro quello che succede nella vita reale della persona al di fuori delle foto che sono proprio “awesome”. L’utente è in grado così di mostrare la propria autenticità: anche lui beve il caffè dopo pranzo, anche lui odia prendere i mezzi pubblici la mattina presto, anche lui mangia le patatine guardando la partita, e via dicendo. Con le Instagram Stories però tutto questo ha uno spazio apposito, uno spazio con cui si afferma “Ok mi impegno a fare ottime foto, ma ecco tutto quello che c’è dietro, ecco la mia dimensione umana oltre a quella professionale”.
Le Instagram Stories, a mio avviso, sono un grande strumento, soprattutto per professionisti e brand, che vogliano mostrare al proprio pubblico che dietro alla perfezione, alla strategia di marketing, ci sono delle persone come il pubblico stesso, e che queste cazzeggiano, ridono, si arrabbiano, esattamente come l’utente più standard del mondo. Insomma, le Stories sono una fantastica via per avvicinare la propria comunicazione al pubblico con un tono informale, colloquiale. Uno strumento che su Instagram è perfetto, perché affiancato alla dimensione seria degli utenti fa ancora più affezionare gli utenti, che, nel migliore dei casi, penseranno: “Ah ecco com’è che riesce a scattare tutte quelle foto, si alza all’alba per trovare il momento migliore. Che bravo/a, ora vado a mettergli un miliardo di like.”
Esagero volutamente, ma il senso è questo. Senza contare che, pubblicando molte Instagram Stories, si resta in un certo senso in cima alla timeline di Instagram stesso, seppur in una sezione differente. Se entro nella storia di un utente, sicuramente avrò curiosità nel vedere se ha postato nuove foto. Per logica, se una persona posta molte storie, posterà anche molti contenuti pubblici permanenti.
Queste sono le ragioni per cui, secondo me, le Instagram Stories sarebbero da utilizzare. Ho utilizzato il verbo amare nel titolo per contrastare con il post di Silvio De Rossi, ma per un servizio così forse è troppo forte. Certamente, e lo ripeto, l’utilità di questo tipo comunicazione è potenzialmente enorme, basta sperimentare i modi migliori per sfruttarla. Voi che ne pensate? Ditemi la vostra opinione sulle Instagram Stories con un commento sotto al post! 😉
LINK UTILI:
Stylology -> Le cose che odio su Instagram Stories
ACareddu.it -> Progetto Instagram @treocchi
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