Vi è mai capitato di voler scrivere qualcosa contro qualcuno o qualcosa, che potrebbe dare fastidio, e avere paura di mettere il vostro nome alla fine del contenuto? Ora non c’è più bisogno di temerequeste situazioni, grazie a Telegraph. No, non mi riferisco al quotidiano del regno unito (The Daily Telegraph), ma ad una nuova piattaforma di blogging lanciata dalla società dietro Telegram, la popolare applicazione di messaggistica istantanea, tra i maggiori concorrenti di WhatsApp. Da un certo punto di vista, Telegraph è uno strumento rivoluzionario. Si tratta infatti di una piattaforma di blogging completamente anonimo. Voi direte che così ognuno potrà scrivere le grandi cazzate, le bufale, quello che volete, ma non è così semplice, e vi spiego subito perché la penso così.
Su Telegraph scrivi e pubblichi: niente login, niente account
Ma come funziona Telegraph (che trovate a questo indirizzo) concretamente? La pubblicazione è la cosa più semplice di tutte. Più semplice di WordPress, più semplice di postare su Facebook, più di un tweet, più di qualsiasi cosa. Secondo me, in questo momento, il modo più semplice sul web di dire qualcosa. La grafica, come noterete, è molto semplice a quella di Medium, la piattaforma di blogging di Twitter, molto essenziale: testo, foto, embed di link. Fine.
Per medium però dovete avere un account, per Telegraph no. Basta cliccare link tra parentesi quale riga in precedenza e ci si trova subito davanti alla schermata di composizione. Titolo del post, nome che si vuole visualizzare, corpo del post. Niente di più, niente di meno. Niente login tramite Facebook o simili, niente registrazione richiesta: niente account. Una volta terminata la creazione del post, è sufficiente cliccare sul tasto “Publish” in alto a destra. Questo è tutto, la pubblicazione del post è avvenuta, basta copiare l’URL dell’articolo e poi postarlo sui social media. Attenzione a non perdere lo stesso indirizzo, perché non sarà facile recuperare il post stesso senza l’indirizzo (che però potete sempre trovare nella cronologia di navigazione).
Volete vedere come appare un post scritto con Telegraph? Cliccate sul link di seguito: Non puoi sapere chi ha scritto questo post. Ora però entriamo nel merito e vediamo perché la cosa è positiva, ma anche perché può non esserlo.
Io scrivo, ma come sai che sono io?
Proprio come ho titolato nel mio post di prova su Telegraph, sulla piattaforma di blogging, mentre leggi, non puoi sapere chi ha scritto questo post. A differenza di WordPress, non c’è un nickname, un indirizzo web, niente. C’è solo il post. E questo è bellissimo. Se voglio scrivere qualcosa di “scomodo” e che potrebbe dare anche molto fastidio, lo posso fare con questo strumento: mi basta solo avere una connessione internet e l’idea. Potreste dire, “ma se non è legato a niente come lo trovo?”, e avete ragione, ma il post di un blog sperduto (come questo) non gode di tanta visibilità in più se non condiviso da qualche parte. Come si espande un contenuto di Telegraph? Con la condivisione. Io non posso sapere chi lo ha scritto, e persino il post riportato sopra potrebbe non essere riconducibile a me: posso dire solo di essere o non essere d’accordo con il suo contenuto, ma niente di più. È la purezza della Notizia, la purezza dell’Opinione che non ha paura del giudizio individuale (uso volontariamente le maiuscole).
Content is king
Torniamo alla possibile critica iniziale al mezzo: il pericolo della cattiva informazione. A mio avviso non c’è molta differenza tra un contenuto anonimo o meno. L’unica differenza è nella fiducia verso l’autore, che però è un’arma a doppio taglio: possiamo arrivare a fidarci di qualcuno a prescindere dall’aver analizzato ciò che scrive, e questo può essere un errore. Così, il contenuto anonimo di Telegraph ci costringe ad analizzare il contenuto. Per come la vedo io, un post su Telegraph che racconta qualcosa di scomodo può essere più autorevole di uno della testata giornalistica di turno. Niente pressioni, niente paura di ripercussioni. Questo ovviamente nel pieno rispetto della buona informazione, per cui quello che immagino su Telegraph è un utilizzo per post di analisi approfondita, che citino le fonti e motivino le affermazioni.
Provo a spiegarmi meglio. La bufala può e deve essere riconosciuta a prescindere (anche se Google e Facebook le combattono), che si tratti di un contenuto autorevole che di uno anonimo. Il problema non è l’autore di un post: quello è il valore aggiunto, ma, come si dice molto spesso in ambienti di social media: content is king, e credo che questa “legge” valga anche per il blogging.
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